eleonora407
Junior
[POST LUNGHISSIMO: mi piace scrivere con dovizia di particolari...spero quanto meno di intrattenervi
]
Buonasera gente! Dopodomani inizierò un nuovo lavoro e volevo raccontarvi le paranoie e paure che mi stanno assalendo.
Ma torniamo indietro nel tempo...come ho scritto nella mia presentazione, l'emetofobia è apparsa all'improvviso verso fine settembre del 2011, in procinto di iniziare l'università. Fino alla fine del liceo mi sembrava di avere chiaro ciò che avrei fatto da grande, magari non proprio il ruolo, ma ero convinta che sarei diventata un pezzo forte di una qualche azienda, o forse che avrei fatto l'interprete al Parlamento Europeo di Strasburgo, per poi finire a vivere in California. Insomma, al di là di ciò, sognavo in grande perchè pensavo che nulla mi avrebbe fermata, che avendo superato cose ben più gravi, avrei spaccato il mondo senza alcun ostacolo. Poi, invece, è arrivata l'ansia, gli attacchi di panico e il terrore costante di rimettere, ovunque e qualsiasi cosa mangiassi.
Ho cominciato a vivere la vita e l'università come un peso enorme, ho perso molti chili, mi svegliavo ogni notte con la tachicardia e il mal di pancia e non nego che per molto tempo ho pregato di addormentarmi e di non svegliarmi più. Quello che pensavo sarebbe stato solo l'inizio del periodo più bello è diventato in un attimo l'incubo peggiore. Io che ero una festaiola al liceo, mi immaginavo alle feste universitarie a ballare e a conoscere mille nuove persone con cui tirare l'alba. E invece, dopo il primo anno, sono tornata a casa, ho chiesto il trasferimento in un'università più vicina e sono sprofondata in un tunnel buio e terribilmente freddo e solitario.
Terminata la triennale, su consiglio della mia relatrice di tesi, decisi di fare un corso estivo a Londra, che sarebbe stato 6 mesi dopo. Nel frattempo mi sono quindi trovata uno stage retribuito in un'agenzia per il lavoro. Facevo poco, c'era poco movimento e non mi insegnavano tanto proprio perchè di lì a 3 mesi sarei partita per l'Inghilterra e quindi lo stage sarebbe finito. Così mi ero fatta l'idea che un lavoro dietro ad un computer e una scrivania non facesse per me: vivevo con l'ansia che arrivasse in fretta il venerdì pomeriggio, senza nemmeno sapere il perchè non mi piacesse quel lavoro.
Qualche mese dopo, tornata da Londra ormai da un po' (forse un giorno vi racconterò anche di quella pessima esperienza!), mi proposero una supplenza di sole 6 ore per 6 mesi nelle scuole medie del mio paese, ed accettai. Ovviamente non era nei miei piani insegnare, altrimenti avrei proseguito con la laurea magistrale subito dopo la triennale, ma accettai, e devo dire che fu un'esperienza che mi aiutò molto: dopo qualche settimana riuscii finalmente a lasciare il mio allora fidanzato, una persona per me tossica (ma dai, pazzesco! chissà come mai le persone che hanno una famiglia disfunzionale finiscono spesso in relazioni altrettanto disfunzionali) e avere un impegno lavorativo fu per me un toccasana. L'anno dopo fui convocata nuovamente per una supplenza di 5 mesi ma di 20 ore, e anche quella fu una bella esperienza poichè nello stesso periodo persi il mio amato fratellino peloso e avere a che fare con dei bambini riempì in parte quel vuoto incolmabile. Per questo motivo ero convinta che l'insegnamento fosse la strada giusta per me, e mi iscrissi alla magistrale per poter conseguire il titolo e i crediti ormai obbligatori per diventare un giorno di ruolo. Da allora in poi feci solo altre due supplenze: una di 2 settimane ad aprile 2019 e una a dicembre dello stesso anno di un mese e mezzo (nel frattempo studiavo e facevo qualche altro lavoretto). Già ad aprile vivevo male quell'incarico ma in due settimane non mi fu chiaro ciò che mi si palesò invece a dicembre. Durante una lezione ebbi la sensazione che mi stesse per venire un attacco di panico, quindi mangiai una caramella e feci finta di niente, anche se dentro sentivo salire l'agitazione. Avevo però imparato che quando viene l'ansia è perchè ci vuole comunicare qualcosa...e la verità era che io non ce la facevo più! Mi svegliavo presto, guidavo per andare lontano, mi preparavo da mangiare (questo capita da sempre a casa mia, che nessuno mi aiuti), andavo a fare ripetizioni, tornavo a casa e studiavo per gli esami. Il weekend lo passavo interamente a dormire. Non potevo più fare la wonder woman che non sono solo per paura di deludere i miei. La realtà era che avevo cambiato idea, e che quell'ultima supplenza l'avevo accettata solo per paura che i miei genitori mi considerassero un fallimento qualora avessi rifiutato, ma io avevo già un lavoro: l'università (e le ripetizioni), quindi non potevo farne anche un altro o mi sarei annientata (sempre considerando che poi tornata a casa dovevo pulire e preparare da mangiare, mio padre non muove un dito e io non vedo l'ora di andare fuori!). Così decisi di tornare dalla psicologa e di mettere in pausa le supplenze. Forse c'era qualcosa dentro di me a cui non stavo dando ascolto; in fondo, negli anni non avevo mai coltivato le mie passioni ma mi ero sempre adattata a fare la cosa migliore per far contenti i miei e renderli fieri di me, quando in realtà bisognerebbe fare ciò che vogliamo e semmai sono gli altri a doversi adeguare.
Ho terminato gli esami, ho scritto la tesi e mi sono laureata. Ho passato gli ultimi 6 mesi a cercare lavoro e informazioni su cosa volessi fare perchè francamente l'università umanistica ti riempie di nozioni teoriche ma poi nel mondo del lavoro te la devi cavare da sola, e in queste ultime settimane mi è arrivata la proposta di una piccola azienda a 20km da casa. Non è certamente l'azienda dei miei sogni in cui immagino di stare fino alla pensione, ma ho quasi 29 anni, ho brancolato nel buio per troppo tempo senza agire e con la speranza che un giorno, di punto in bianco, mi sarei svegliata nella vita dei miei sogni, e mi serve esperienza per poter farmi notare dall'azienda a cui aspiro, oltre che ad essere il primo vero banco di prova per capire se ho fatto l'ennesima cazzata ad abbandonare (almeno momentaneamente) la strada dell'insegnamento.
HO ACCETTATO, domani firmo il contratto e mercoledì mattina inizio e, sarò onesta, l'ho fatto principalmente perchè si tratta di uno stipendio pieno e non da stagista, come ormai capita a tutti i neolaureati. Come potete immaginare, però, questo porta con sè una marea di paure e ansie: ho infatti paura che il lavoro e l'ambiente non mi piacciano o non mi soddisfino, ho paura di non riuscire a resistere nemmeno il mese di prova, ho paura di ritrovarmi punto e a capo a cercare ancora un altro lavoro perchè c'è qualcosa di sbagliato in me e quindi nessun lavoro andrà mai bene (già me li immagino i miei genitori se dovessi dire che dopo il mese di prova non intendo continuare: "ma si può sapere cosa ti piace fare? e la scuola no, e l'azienda no!"; loro non mi hanno mai conosciuta o fatta sentire amata e accettata ma solo criticata e giudicata, quindi non capiscono che situazione viviamo noi ragazzi di oggi, super formati, ma in un mondo pieno di incertezze, completamente diverso a quello a cui loro erano abituati, non comprendono che negli ultimi 50anni le cose sono molto cambiate); insomma, mi sto fasciando la testa prima di rompermela, lo so. Per questo ve ne ho voluto parlare. Ci sono persone che riescono ad essere serene qualsiasi lavoro facciano o comincino, altre anime inquiete come me che ricercano la pace interiore da tutta la vita con la paura di non raggiungerla mai.
Alcuni amici mi hanno detto che una volta fuori di casa, molti dei miei problemi scompariranno perchè è tossico rimanere in casa 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per di più con dei genitori infelici e frustrati. In effetti, ho letto anche io degli articoli di psicologia in cui si dice ciò, anche se si vive nella famiglia perfetta, e questo perchè si perde il contatto con la realtà esterna. Quello che sta capitando a tutti da un anno a questa parte, ma quello che capita a me, emetofobica, da quasi 10 anni, con l'autoisolamento, l'autosabotaggio, il rimuginio costante e le vibrazioni negative che ho assorbito e fatto diventare convinzioni difficili da sradicare. Per giunta con questo lavoro non potrò più vedere la mia psicologa, quindi spero mi aiuterà confrontarmi con persone che hanno una parte della propria esistenza in comune con me. So bene che in tutti questi anni mi sono lasciata lacerare internamente dalla fobia e che ho smesso di vivere davvero; so che la vita è là fuori, in mezzo alle persone, con la sveglia presto e un lavoro solido dal lunedì al venerdì, ma sono talmente abituata a questa perenne apatia che sono terrorizzata all'idea di fare questo grande passo. è come quando prenoto una vacanza che voglio fare: nonostante sia tra i miei desideri, finisco con l'autosabotarmi e mi viene l'ansia al pensiero che lontano da casa mi possa succedere qualcosa di brutto, quindi mi dico "non vedo l'ora che sia già finito tutto per poter dire che è andato tutto bene una volta tornata nella mia comfort zone".
CONTINUA...
Buonasera gente! Dopodomani inizierò un nuovo lavoro e volevo raccontarvi le paranoie e paure che mi stanno assalendo.
Ma torniamo indietro nel tempo...come ho scritto nella mia presentazione, l'emetofobia è apparsa all'improvviso verso fine settembre del 2011, in procinto di iniziare l'università. Fino alla fine del liceo mi sembrava di avere chiaro ciò che avrei fatto da grande, magari non proprio il ruolo, ma ero convinta che sarei diventata un pezzo forte di una qualche azienda, o forse che avrei fatto l'interprete al Parlamento Europeo di Strasburgo, per poi finire a vivere in California. Insomma, al di là di ciò, sognavo in grande perchè pensavo che nulla mi avrebbe fermata, che avendo superato cose ben più gravi, avrei spaccato il mondo senza alcun ostacolo. Poi, invece, è arrivata l'ansia, gli attacchi di panico e il terrore costante di rimettere, ovunque e qualsiasi cosa mangiassi.
Ho cominciato a vivere la vita e l'università come un peso enorme, ho perso molti chili, mi svegliavo ogni notte con la tachicardia e il mal di pancia e non nego che per molto tempo ho pregato di addormentarmi e di non svegliarmi più. Quello che pensavo sarebbe stato solo l'inizio del periodo più bello è diventato in un attimo l'incubo peggiore. Io che ero una festaiola al liceo, mi immaginavo alle feste universitarie a ballare e a conoscere mille nuove persone con cui tirare l'alba. E invece, dopo il primo anno, sono tornata a casa, ho chiesto il trasferimento in un'università più vicina e sono sprofondata in un tunnel buio e terribilmente freddo e solitario.
Terminata la triennale, su consiglio della mia relatrice di tesi, decisi di fare un corso estivo a Londra, che sarebbe stato 6 mesi dopo. Nel frattempo mi sono quindi trovata uno stage retribuito in un'agenzia per il lavoro. Facevo poco, c'era poco movimento e non mi insegnavano tanto proprio perchè di lì a 3 mesi sarei partita per l'Inghilterra e quindi lo stage sarebbe finito. Così mi ero fatta l'idea che un lavoro dietro ad un computer e una scrivania non facesse per me: vivevo con l'ansia che arrivasse in fretta il venerdì pomeriggio, senza nemmeno sapere il perchè non mi piacesse quel lavoro.
Qualche mese dopo, tornata da Londra ormai da un po' (forse un giorno vi racconterò anche di quella pessima esperienza!), mi proposero una supplenza di sole 6 ore per 6 mesi nelle scuole medie del mio paese, ed accettai. Ovviamente non era nei miei piani insegnare, altrimenti avrei proseguito con la laurea magistrale subito dopo la triennale, ma accettai, e devo dire che fu un'esperienza che mi aiutò molto: dopo qualche settimana riuscii finalmente a lasciare il mio allora fidanzato, una persona per me tossica (ma dai, pazzesco! chissà come mai le persone che hanno una famiglia disfunzionale finiscono spesso in relazioni altrettanto disfunzionali) e avere un impegno lavorativo fu per me un toccasana. L'anno dopo fui convocata nuovamente per una supplenza di 5 mesi ma di 20 ore, e anche quella fu una bella esperienza poichè nello stesso periodo persi il mio amato fratellino peloso e avere a che fare con dei bambini riempì in parte quel vuoto incolmabile. Per questo motivo ero convinta che l'insegnamento fosse la strada giusta per me, e mi iscrissi alla magistrale per poter conseguire il titolo e i crediti ormai obbligatori per diventare un giorno di ruolo. Da allora in poi feci solo altre due supplenze: una di 2 settimane ad aprile 2019 e una a dicembre dello stesso anno di un mese e mezzo (nel frattempo studiavo e facevo qualche altro lavoretto). Già ad aprile vivevo male quell'incarico ma in due settimane non mi fu chiaro ciò che mi si palesò invece a dicembre. Durante una lezione ebbi la sensazione che mi stesse per venire un attacco di panico, quindi mangiai una caramella e feci finta di niente, anche se dentro sentivo salire l'agitazione. Avevo però imparato che quando viene l'ansia è perchè ci vuole comunicare qualcosa...e la verità era che io non ce la facevo più! Mi svegliavo presto, guidavo per andare lontano, mi preparavo da mangiare (questo capita da sempre a casa mia, che nessuno mi aiuti), andavo a fare ripetizioni, tornavo a casa e studiavo per gli esami. Il weekend lo passavo interamente a dormire. Non potevo più fare la wonder woman che non sono solo per paura di deludere i miei. La realtà era che avevo cambiato idea, e che quell'ultima supplenza l'avevo accettata solo per paura che i miei genitori mi considerassero un fallimento qualora avessi rifiutato, ma io avevo già un lavoro: l'università (e le ripetizioni), quindi non potevo farne anche un altro o mi sarei annientata (sempre considerando che poi tornata a casa dovevo pulire e preparare da mangiare, mio padre non muove un dito e io non vedo l'ora di andare fuori!). Così decisi di tornare dalla psicologa e di mettere in pausa le supplenze. Forse c'era qualcosa dentro di me a cui non stavo dando ascolto; in fondo, negli anni non avevo mai coltivato le mie passioni ma mi ero sempre adattata a fare la cosa migliore per far contenti i miei e renderli fieri di me, quando in realtà bisognerebbe fare ciò che vogliamo e semmai sono gli altri a doversi adeguare.
Ho terminato gli esami, ho scritto la tesi e mi sono laureata. Ho passato gli ultimi 6 mesi a cercare lavoro e informazioni su cosa volessi fare perchè francamente l'università umanistica ti riempie di nozioni teoriche ma poi nel mondo del lavoro te la devi cavare da sola, e in queste ultime settimane mi è arrivata la proposta di una piccola azienda a 20km da casa. Non è certamente l'azienda dei miei sogni in cui immagino di stare fino alla pensione, ma ho quasi 29 anni, ho brancolato nel buio per troppo tempo senza agire e con la speranza che un giorno, di punto in bianco, mi sarei svegliata nella vita dei miei sogni, e mi serve esperienza per poter farmi notare dall'azienda a cui aspiro, oltre che ad essere il primo vero banco di prova per capire se ho fatto l'ennesima cazzata ad abbandonare (almeno momentaneamente) la strada dell'insegnamento.
HO ACCETTATO, domani firmo il contratto e mercoledì mattina inizio e, sarò onesta, l'ho fatto principalmente perchè si tratta di uno stipendio pieno e non da stagista, come ormai capita a tutti i neolaureati. Come potete immaginare, però, questo porta con sè una marea di paure e ansie: ho infatti paura che il lavoro e l'ambiente non mi piacciano o non mi soddisfino, ho paura di non riuscire a resistere nemmeno il mese di prova, ho paura di ritrovarmi punto e a capo a cercare ancora un altro lavoro perchè c'è qualcosa di sbagliato in me e quindi nessun lavoro andrà mai bene (già me li immagino i miei genitori se dovessi dire che dopo il mese di prova non intendo continuare: "ma si può sapere cosa ti piace fare? e la scuola no, e l'azienda no!"; loro non mi hanno mai conosciuta o fatta sentire amata e accettata ma solo criticata e giudicata, quindi non capiscono che situazione viviamo noi ragazzi di oggi, super formati, ma in un mondo pieno di incertezze, completamente diverso a quello a cui loro erano abituati, non comprendono che negli ultimi 50anni le cose sono molto cambiate); insomma, mi sto fasciando la testa prima di rompermela, lo so. Per questo ve ne ho voluto parlare. Ci sono persone che riescono ad essere serene qualsiasi lavoro facciano o comincino, altre anime inquiete come me che ricercano la pace interiore da tutta la vita con la paura di non raggiungerla mai.
Alcuni amici mi hanno detto che una volta fuori di casa, molti dei miei problemi scompariranno perchè è tossico rimanere in casa 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per di più con dei genitori infelici e frustrati. In effetti, ho letto anche io degli articoli di psicologia in cui si dice ciò, anche se si vive nella famiglia perfetta, e questo perchè si perde il contatto con la realtà esterna. Quello che sta capitando a tutti da un anno a questa parte, ma quello che capita a me, emetofobica, da quasi 10 anni, con l'autoisolamento, l'autosabotaggio, il rimuginio costante e le vibrazioni negative che ho assorbito e fatto diventare convinzioni difficili da sradicare. Per giunta con questo lavoro non potrò più vedere la mia psicologa, quindi spero mi aiuterà confrontarmi con persone che hanno una parte della propria esistenza in comune con me. So bene che in tutti questi anni mi sono lasciata lacerare internamente dalla fobia e che ho smesso di vivere davvero; so che la vita è là fuori, in mezzo alle persone, con la sveglia presto e un lavoro solido dal lunedì al venerdì, ma sono talmente abituata a questa perenne apatia che sono terrorizzata all'idea di fare questo grande passo. è come quando prenoto una vacanza che voglio fare: nonostante sia tra i miei desideri, finisco con l'autosabotarmi e mi viene l'ansia al pensiero che lontano da casa mi possa succedere qualcosa di brutto, quindi mi dico "non vedo l'ora che sia già finito tutto per poter dire che è andato tutto bene una volta tornata nella mia comfort zone".
CONTINUA...