Buonasera a tutti,
è da molto tempo che non pubblico un topic, tuttavia, stasera, reduce da momenti di riflessione intensa, sono qui, davanti al pc, a formulare questa domanda, o meglio, questo pensiero: "ma l'emetofobia, va d'accordo con la maternità?" o forse è meglio chiedersi: "la maternità va d'accordo con l'emetofobia?"
Partiamo da una semplice premessa: sin da quando ero bambina, ho sempre avuto questo grande desiderio di diventare madre, magari anche giovane, in modo tale da poter crescere con mio figlio. Ricordo che giocavo a barbie e, puntualmente, la mia barbie rimaneva incinta, oppure giocavo con i bambolotti, ne mettevo uno sotto la maglietta, fingendo di essere in attesa; poi lo curavo, gli mettevo il pannolino, gli facevo il bagnetto...
Una volta cresciuta decisi di iscrivermi alla facoltà di scienze dell'educazione e della formazione, per poi laurearmi ed iscrivermi a pedagogia, studiando lo sviluppo e la psiche del bambino. Per pagarmi gli studi ho fatto anni di babysitteraggio con bambini più o meno piccoli; tuttavia, quando mi capitava di accudire un neonato, ero felicissima: di cambiarlo, di dargli il pasto, di metterlo sul tappetone e di farlo giocare, di tenergli la manina per compiere i primi passi, o di ridere con lui ai primi tentativi di espressione di parola.
Quindi arriviamo ad ora: emetofobica, sotto terapia farmacologica (antidepressivo) e psicoterapica, impegnata in una relazione da quasi 5 anni (non convivente), senza lavoro fisso, bensì insegnante statale alla scuola primaria con contratto sino al 30/06 (lavoro da ottobre a giugno ogni anno, se mi prendono) e con un grande desiderio di maternità.
Ne ho parlato con i miei genitori a tavola e, forse, era meglio tenere la bocca chiusa dato che le risposte sono state "ma sei giovane, sei una bambina" "il tuo ragazzo è ancora un ragazzino", "prima devi realizzarti" "fare un figlio non è un gioco", detto con toni di scherno e risate.
Il mio desiderio non è stato preso sul serio.
Logicamente poi, nella mia testa, si formano relativi ed ulteriori interrogativi come "e se non fossi una buona madre?" "e se non riuscissi ad accudire il mio bimbo malato?" "e se dovessi rovinargli la vita, impedendogli di mangiare, fare, frequentare persone che potrebbero causargli il vomito?" "e se lo segregassi in una campana di vetro?" "e se dovessi proiettargli le mie ansie e timori?"
...pensieri che ti distolgono dalla fantasia e che ti fanno ripiombare nella realtà.
ps: mi rendo conto anche che, non potrei mai concepire un bambino se prima non stoppo i farmaci. Ma se li stoppassi (con l'aiuto della psichiatra) e ricadessi nel vortice depressivo?
è da molto tempo che non pubblico un topic, tuttavia, stasera, reduce da momenti di riflessione intensa, sono qui, davanti al pc, a formulare questa domanda, o meglio, questo pensiero: "ma l'emetofobia, va d'accordo con la maternità?" o forse è meglio chiedersi: "la maternità va d'accordo con l'emetofobia?"
Partiamo da una semplice premessa: sin da quando ero bambina, ho sempre avuto questo grande desiderio di diventare madre, magari anche giovane, in modo tale da poter crescere con mio figlio. Ricordo che giocavo a barbie e, puntualmente, la mia barbie rimaneva incinta, oppure giocavo con i bambolotti, ne mettevo uno sotto la maglietta, fingendo di essere in attesa; poi lo curavo, gli mettevo il pannolino, gli facevo il bagnetto...
Una volta cresciuta decisi di iscrivermi alla facoltà di scienze dell'educazione e della formazione, per poi laurearmi ed iscrivermi a pedagogia, studiando lo sviluppo e la psiche del bambino. Per pagarmi gli studi ho fatto anni di babysitteraggio con bambini più o meno piccoli; tuttavia, quando mi capitava di accudire un neonato, ero felicissima: di cambiarlo, di dargli il pasto, di metterlo sul tappetone e di farlo giocare, di tenergli la manina per compiere i primi passi, o di ridere con lui ai primi tentativi di espressione di parola.
Quindi arriviamo ad ora: emetofobica, sotto terapia farmacologica (antidepressivo) e psicoterapica, impegnata in una relazione da quasi 5 anni (non convivente), senza lavoro fisso, bensì insegnante statale alla scuola primaria con contratto sino al 30/06 (lavoro da ottobre a giugno ogni anno, se mi prendono) e con un grande desiderio di maternità.
Ne ho parlato con i miei genitori a tavola e, forse, era meglio tenere la bocca chiusa dato che le risposte sono state "ma sei giovane, sei una bambina" "il tuo ragazzo è ancora un ragazzino", "prima devi realizzarti" "fare un figlio non è un gioco", detto con toni di scherno e risate.
Il mio desiderio non è stato preso sul serio.
Logicamente poi, nella mia testa, si formano relativi ed ulteriori interrogativi come "e se non fossi una buona madre?" "e se non riuscissi ad accudire il mio bimbo malato?" "e se dovessi rovinargli la vita, impedendogli di mangiare, fare, frequentare persone che potrebbero causargli il vomito?" "e se lo segregassi in una campana di vetro?" "e se dovessi proiettargli le mie ansie e timori?"
...pensieri che ti distolgono dalla fantasia e che ti fanno ripiombare nella realtà.
ps: mi rendo conto anche che, non potrei mai concepire un bambino se prima non stoppo i farmaci. Ma se li stoppassi (con l'aiuto della psichiatra) e ricadessi nel vortice depressivo?